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Nací el 21 en primavera IV 2016


“Nací el 21 en primavera...". Voci dalla poesia spagnola contemporanea IV

editados y traducidos por Paola Laskaris

Bari, Sentieri Meridiani, 2016

 

Poeti a Bari: IV  parte

por

Paola Laskaris

Che posto troverò per voi nella memoria (V. Bodini, “I pini della Salaria”)

La primavera barese – con il suo vento dal mare, tagliente e freddo, e il suo cielo grande e inquieto percorso da squarci di blu – accoglie un gruppo di poeti spagnoli. Voci note e voci nuove del panorama poetico iberico, così pieno di sorprese e liete conferme. Era il 21 marzo del 2014.

Ora, in questo autunno carico di promesse, quel ricordo torna a sbocciare e regalare frutti che ci accompagnino nel lungo viaggio dell’inverno, mentre rimaniamo in attesa che la loro parola, franca e vibrante, torni a colmare gli sguardi di un sud “dove la luce pare / di carne cruda”1.

In ricordo del grande poeta e ispanista pugliese – di cui proprio nel 2014 si celebrava il centenario della nascita – questa antologia vuole rendere omaggio a colui che da questi luoghi è partito e tornato carico di Spagna e di poesia. Lo spirito del progetto “Nací el 21 en primavera...” nasce dalla medesima urgenza umana, più che intellettuale, di far germogliare, nel solco della fertile terra di Puglia, piante dalle radici lontane. Spagna e Italia si trovano riunite in queste pagine nel nome di Vittorio Bodini e di quella poesia che tesse paziente ogni giorno il suo arazzo di versi e lo distende con stupore sullo scenario aperto dell’orizzonte.

Disposte secondo un puro ordine alfabetico per autore, le poesie qui raccolte disegnano un viaggio, il viaggio della vita, inscindibile da quello della poesia, per chi sa cogliere una nell’altra. I testi, selezionati dai poeti per l’occasione, e in assoluta autonomia e indipendenza gli uni dagli altri, rivelano, in modo casuale ma sorprendentemente sostanziale, comuni spiragli poetici, quasi si trattasse di un canzoniere a più voci che segue un cammino multiplo ma, allo stesso tempo, unitario. Salpiamo dunque, come ci invita a fare l’imbarcazione del frontespizio, per un viaggio che ci condurrà verso la parola, solcando spazi lontani, nella scia della parola stessa.

Nostri compagni di viaggio sono Luis Bagué Quílez, Agustín Calvo Galán, Carmen Camacho, Raúl Díaz Rosales, José Manuel Lucía Megías, Aurora Luque e Francisco Ruiz Noguera. I loro nomi compongono una geografia variegata di luoghi, esperienze e parole, che rivela la singolare complessità e l’estrema vivacità della poesia spagnola contemporanea.

Un viaggio che ci porta da New Delhi a Seattle passando per Córdoba, Lesbo e un labirinto di luoghi conosciuti o senza nome, spesso esasperatamente pieni o desolatamente vuoti, in balìa del tempo, che scorre alla velocità di un numero inafferrabile di Mb al secondo, con un bicchiere di caffè americano tra le mani come trofeo e in tasca un brandello del filo di Arianna.

L’inizio del nuovo viaggio odisseico ci vede partire – come Antonio Machado – ligeros de equipaje, consapevoli che ogni valigia impara a viaggiare con noi e presto ci abbandona per seguire un proprio cammino e attenderci in luoghi che mai visiteremo, al termine di rotte invisibili.

Siamo tutti viaggiatori in cerca di parole, ma che sanno trovarle, senza fingerle. Sappiamo che ogni spazio, ogni istante può essere la rivelazione minima del nostro sforzo per renderlo unico, epico. Passeggiamo contemplando le cose e ci accorgiamo che in uno sguardo innamorato e straniero c’è più eroismo che in una sola parola, in un passaporto o una nazionalità. Passiamo le ore osservando e sentendoci osservati come insetti esposti in una teca affissa a un muro o fiori secchi e sbiaditi tra le pagine di un libro: vivi in una morte eterna e viceversa.

Spogliati di ogni superficialità, “fuggendo dalle immagini e dalle metafore”, che fremono come uccelli impauriti tra le nostre dita, contempliamo la nostra nuda essenza e la offriamo a chi giace disteso al nostro fianco e all’orizzonte. E ci riconosciamo nei gesti di un pescatore, che a fine giornata si lascia il tramonto alle spalle. Uno sguardo casuale in un bar o quello continuativo e stancamente addomesticato dall’abitudine ci rivelano, costantemente, che siamo pagine in costruzione e ci scusiamo per il disagio. Scopriamo brandelli di metafisica nell’offerta preconfezionata di uno Starbucks o nella solitaria fessura dell’esistenza, e tutto ci appare, d’improvviso, meno enigmatico, nonostante tutto.

E alla fine, scontenti girovaghi, riusciamo a fiaccare anche il nostro viaggio, ignorando così l’accorato monito di Kavafis e lasciando Itaca, senza un ritorno.

Non c’è più spazio per l’epica. Non c’è un lieto fine. Nessuna finzione. Nessun gesto eroico, se non quello della parola che va oltre. Tutto è reale. Il mito greco ha il volto austero della crisi e non quello patinato e artificiale di Hollywood. Così, richiamato dalle sirene della quotidiana urbanità anche il poeta fugge dalla poesia e l’abbandona, per inoltrarsi in un pomeriggio di indolenza e ritrovarla, al suo ritorno, disperatamente suicidata.

E scopriamo che anche il desiderio ha la sua data di scadenza. E allora: carpe diem. Carpe verbum.

Al vorace presente è sufficiente strappargli un istante, uno solo, perché si stagli meno effimero, contro la fine. Davvero “la poesia non è caduta in disgrazia”. Al contrario, il suo rating è schizzato a livelli superiori, il suo PIL si consolida progressivamente e non ci sono OPA ostili che ne corrompano pericolosamente l’ascesa. La poesia è ancora lì, intatta, pronta a essere scavata e seminata nuovamente. Non teme il tempo, né la crisi. Non teme il dolore, né la sua assenza.

Al termine del viaggio senza approdi, scopriamo che quel filo di Arianna che continuiamo a portarci in tasca – per abitudine – trattiene in sé i due lembi di ogni destino: entrata e uscita, vita e morte, realtà e finzione, amore e disamore, luce e tenebre. L’esistenza è un “círculo gozoso” che gira incessante come le pagine del calendario. E allora dobbiamo fermarci a guardare, ancora una volta, il mare, con lo sguardo aperto di Ulisse, per il puro piacere di creare e ricreare il viaggio. Creare e ricreare la parola. Disegnare l’orizzonte verso cui salpare nuovamente. Con una sola certezza: quella di saperci perdere.

A ogni nuovo viaggio ci ricorderemo allora con Bodini, di quando

lo stupore del vento di sorprenderci
fuori rotta negli occhi gialli della notte
tra le sue pieghe verminose e affabili
copriva del tutto la voce della risacca

saccheggiava pungoli e gemiti di un’alba senza fiori2.

 

Poemas procedentes de Versos que un día escribí desnudo

Traducción al italiano por Paola Laskaris

 

 

1.

Escribo desnudo.

Ante mí, el mar,

un mar que deja a sus espaldas

los cipreses de la corrupción.

Escribo desnudo.

Huyendo de las imágenes y de las metáforas.

Huyendo de esconderme

detrás de las palabras,

detrás de los versos,

detrás de las mentiras.

Una vez más. La última.

Escribo desnudo ante el mar

y de vez en cuando aparece alguien a mis espaldas,

y de vez en cuando siento voces

que me devuelven más allá del verso,

de este cuadro de verano de sal,

de lágrimas y de muchas distancias.

Escribo desnudo ante el mar

y una piedra se me clava en la espalda.

Y por más que me duela,

por más que note su presencia interrogante

no soy capaz de moverme,

de buscar un lugar más ameno y confortable.

Lejos del mar.

Lejos de tu recuerdo.

De la distancia punzante de tu recuerdo.

1

Scrivo nudo.

Di fronte a me, il mare,

un mare che lascia alle sue spalle

i cipressi della corruzione.

Scrivo nudo.

Fuggendo dalle immagini e dalle metafore.

Fuggendo dal nascondermi

dietro alle parole,

dietro ai versi,

dietro alle menzogne.

Ancora una volta. L’ultima.

Scrivo nudo davanti al mare

e di quando in quando qualcuno appare alle mie spalle,

e di quando in quando sento voci

che mi restituiscono oltre il verso,

di questo quadro d’estate salata,

di lacrime e molte distanze.

Scrivo nudo davanti al mare

e una pietra mi si conficca nella schiena.

E per quanto mi faccia male,

per quanto senta la sua presenza interrogativa

sono incapace di muovermi,

di cercare un luogo più lieto e confortevole.

Lontano dal mare.

Lontano dal tuo ricordo.

Dalla distanza pungente del tuo ricordo.

2.

Para seguir viviendo hay que cometer,

una vez más, el error de la esperanza,

creerse que ese error es posible,

que nos espera y que estamos por alcanzarlo.

Para seguir viviendo tendría que volver

a soñar que cada día me despierto

inaugurando una nueva vida,

esa que en sueños me he creado

y en sueños se vuelve tan real

como las rejas de mentiras y silencios

en que hemos convertido nuestros abrazos,

esos que ya no queremos seguir viviendo,

esos que hace tiempo que ni soñamos.

Pero solo somos hombres. Hombres tan solo.

Hombres sin sueños. Hombres sin esperanza.

Hombres que siguen temblando ante los espejos.

Hombres que añoran las palomas mensajeras,

el grito de amor colgado de su vuelo.

2

Per continuare a vivere bisogna commettere,

ancora una volta, l’errore della speranza,

credere che questo errore sia possibile,

che ci aspetta e che stiamo per raggiungerlo.

Per continuare a vivere dovrei tornare

a sognare che ogni giorno mi risveglio

inaugurando una nuova vita,

quella che mi sono creato nei sogni

e che in sogno diventa così reale

come le sbarre di menzogne e silenzi

in cui abbiamo trasformato i nostri abbracci,

quelli che non vogliamo più continuare a vivere,

quelli che da molto tempo nemmeno sogniamo più.

Ma siamo solo uomini. Solamente uomini.

Uomini senza sogni. Uomini senza speranza.

Uomini che continuano a tremare davanti agli specchi.

Memorie struggenti di colombi viaggiatori,

il grido d’amore appeso al loro volo.

3.

Me miras.

Me he quedado dormido a tu lado

mientras me miras.

Aunque he cerrado los ojos, poco a poco,

aunque la respiración va agotándose

en la marea acompasada del sueño,

noto que me miras,

que tu mirada va acariciando mi silencio,

parándose en mi nariz,

recorriendo cada esquina de mis labios,

contando cada pelo de mi barba,

asombrándose por la ligereza de mi calva

y el perfecto acabado de mis orejas.

Me miras en silencio

mientras yo me quedo dormido a tu lado.

Me miras

y sonríes, sin poder dejar de soñarme.

3

Mi guardi.

Mi sono addormentato al tuo fianco

mentre mi guardi.

Anche se ho chiuso gli occhi, poco a poco,

anche se la respirazione va calmandosi

nella marea compassata del sonno,

noto che mi guardi,

che il tuo sguardo accarezza il mio silenzio,

fermandosi sul mio naso,

percorrendo ogni angolo delle mie labbra,

contando ogni pelo della mia barba,

stupendosi per la mia lieve calvizie

e la perfetta rifinitura delle mie orecchie.

Mi guardi in silenzio

mentre io mi addormento al tuo fianco.

Mi guardi

e sorridi, senza poter smettere di sognarmi.

4.

El pescador se va, abandona el paisaje

con las manos vacías.

Cientos de palomas revolotean sobre su cabeza.

Son su corona y sus más tiernas preocupaciones.

A lo lejos llegan los acordes repetidos de una canción

que ponen una estúpida banda sonora

a esta que no es más que otra estúpida historia de amor.

Otra historia más, con sus canciones, sus gestos,

sus reproches, y sus memorias acodadas en la cola

somnolienta de unos versos escritos al atardecer,

versos que podrían ser también los más tristes, los más salados,

si no fuera porque están escritos con una luz distinta,

esa luz que deja a sus espaldas el reflejo de la luna,

el Mediterráneo azul, la música inoportuna,

el recuerdo suicida, las lágrimas cristalizadas

y el regusto amargo del amor

en la cuenca redentora de las gargantas.

El pescador abandona las rocas

y ni una última mirada merece este atardecer,

este final que me ilumina desnudo, solo

con las manos vacías y los versos inacabados.

4

Il pescatore se ne va, abbandona il paesaggio

con le mani vuote.

Centinaia di colombi svolazzano sulla sua testa.

Sono la sua corona e le sue più tenere preoccupazioni.

Da lontano giungono gli accordi ripetuti di una canzone

che mettono una stupida colonna sonora

a questa che non è altro che un’altra stupida storia d’amore.

Un’altra storia, con le sue canzoni, i suoi gesti,

i suoi rimproveri e le sue memorie accodate nella fila

sonnolenta di versi scritti al tramonto,

versi che potrebbero essere anche i più tristi, i più salati,

se non fosse perché sono scritti con una luce diversa,

quella luce che lascia alle sue spalle il riflesso della luna,

il Mediterraneo blu, la musica inopportuna,

il ricordo suicida, le lacrime cristallizzate

e il retrogusto amaro dell’amore

nell’alveo redentore delle gole.

Il pescatore abbandona le rocce

e non merita neanche un ultimo sguardo questo tramonto,

questo finale che mi illumina nudo, solo,

con le mani vuote e i versi incompiuti.